Nepal Animal Sacrifice

Pubblichiamo con grande piacere questo significativo articolo inoltratoci e scritto da un nostro prezioso  amico, Antonello Palla Italy Communications Manager Animals Asia

Gadhimai è il dio Hindù della Forza e in Nepal in suo onore ogni lustro si tiene un raccapricciante cerimoniale orgiastico, che culmina nel più grande sacrificio mondiale di animali.

I fedeli – se ne contano oltre 5 milioni a ogni edizione – ignari di chi sia quell’entità di supposta derivazione acheropita, cingono con la furiosa morte d’innocenti creature la gioia per la libertà proditoriamente conquistata. Eh sì, perché pare che questi riti abbiano una grande valenza apotropaica: si pensa che allontanino la cattiva sorte e i mali auspici, placando così i desideri del tenebroso demiurgo.

Arrivano qui soprattutto dall’India, dove simili rituali sono proibiti, demandando ad altri la propria sete di sangue.

Nel novembre 2009 sono state immolate 250.000 bestie. Tra i preferiti troviamo animali domestici come i bufali d’acqua, perché si dice che abbiano il dono di mòlcere le ire del divino satrapo.

Brandendo le loro daghe, gli uomini entrano in un cortile recintato nel quale sono stipati oltre 20.000 esemplari.

E così iniziano i giochi.

Poiché gli assassini non sono in grado di recidere le teste dei bufali in un sol colpo, prima tranciano le zampe posteriori causando la caduta dell’animale, che inerme verrà decapitato con inenarrabili sofferenze: possono volerci anche venticinque tentativi per uccidere un grande bufalo.

Si dilaniano volentieri anche capre, maiali, polli, piccioni, conigli, anatre e qualche ratto, ovviamente senza umani singulti.

L’altra faccia di questo festival sono gli affari: quest’anno il comitato organizzatore si aspetta di raccogliere circa 2.000.000 di euro dalla vendita di pelli e carcasse, dal pagamento per la logistica e le strutture ricreative. Al contrario e come sempre, i poveri non ci guadagnano nulla; anzi, alcuni dovranno impegnare fino a due mesi di stipendio per comprare un animale da sacrificare in fiera.

Se, a dire il vero, simili tregende accadono più spesso di quanto si pensi, persino in questo secolo di mirabolanti e crescenti “conquiste” umane, a porre un segno di dieresi sul significato della questione non è tanto la forma o il principio, ma l’impressionante contrassegno numerico: come se, e ritorna in mente il vecchio paradosso del sorite, una sottile e invisibile linea rossa dividesse ex abrupto lecito ed esecrabile, il granello dal mucchio.

Gli animali muoiono dovunque e in gran numero per mano umana, e certo non può essere lo strumento utilizzato – sia esso una pistola, l’elettrocuzione, il gas o un’accetta – a rendere i nostri sistemi etici più o meno sostenibili; premesso, e abilmente sottaciuto, che la vita animale non ha punta importanza.

bibigadhimai3-remainsoftheday_edited-1La vecchia e osannata individualità, scaturigine di ogni riflessione etica e fondamento del concetto di persona – tanto caro a coloro che della pietà hanno armato ogni discussione, cosa sarebbe se non un numero?

Individualità che si sommano non sono altro che masse, come mucchi di terra ogni vita vale quanto un granello.

Basta sul serio contare le inermi spoglie trucidate per provare un sentimento di repulsione morale? O a inorridirci, noi creature così civili, è forse solo il lezzo dei colori e la girandola di teste mozzate con quelle rudimentali mannaie?

Questa sembra anche la ragione per la quale da noi s’insegna a perdere il conto molto prima; prima persino che a qualcuno venga in mente di porsi il problema. A occhio e croce, quanti animali vengono macellati giornalmente in un singolo mattatoio di uno sperduto paese di provincia? Attendiamo con ansia una risposta.

Il vero e sinistro orpello di cui si adorna la crudeltà è l’indifferenza, la bieca maniera in cui le società tentano a ogni costo di normalizzare la sofferenza degli altri esseri viventi, umani e no.

La crudeltà s’insegna compiaciuti ai propri bambini, suggerendo loro che le esibizioni degli animali in catene – in uno zoo, al circo o all’acquario – siano il più grande spettacolo che la vita possa offrirci, scampoli d’infanzia negletta per la pervicace ignoranza dei genitori. Tutto il resto è stupida fatalità evenemenziale, quella che si racconta unicamente per sorprendere.

Una piccola giraffa e quattro leoni che vengono uccisi in uno zoo possono di certo indignare le pie coscienze finché vi pare, ma faremo sempre la figura dei sepolcri imbiancati: placidamente certi che la crudeltà contro gli animali debba essere aborrita, continueremo a delibare quegli stessi cadaveri che ora guardiamo con occhi madidi e roranti alla televisione.

Oppure è l’ostensione, l’edace ma guitta volontà di dominio sui deboli, che turba profondamente le nostre coscienze? È la morte esibita, ritualizzata con sprezzante ghigno goduto in una maratona festosa che si protrae fino al crepuscolo, è questo ciò che davvero ci infastidisce?

diapov10Non ci sono dubbi che quanto accade in Nepal possa sembrarci in grado di suscitare eo ipso riprovazione, sdegno, ribrezzo, rabbia e persino tormento. Tuttavia, non dovrebbero mai esserci muri al di là dei quali ogni sguardo sia precluso, rendendoci incapaci di promuovere e rivendicare un nuovo concetto di giustizia sociale, dove agli animali, tutti quanti, sia concesso il privilegio di vivere questo pianeta dal proprio punto di vista.

In questo senso, i famosi Ag-Gag Bills – approvati ormai in molti stati americani, ultimo fra questi l’Idaho, che ha seguito a ruota Nord Carolina e Vermont, mettono al bando sicofanti e delatori, i cosiddetti whistleblowing; ossia coloro che denunciano con video, foto, registrazioni varie girate sotto copertura, gli abusi praticati contro gli animali negli allevamenti intensivi.

Simili provvedimenti bloccano alla base ogni tentativo di denunciare il modo in cui vengono adoperati gli animali; le questioni che riguardano la sicurezza dei mangimi alimentari, le precarie condizioni lavorative dei dipendenti e i maltrattamenti nei laboratori di vivisezione.

È allora sufficiente chiudere gli occhi, nascondere di colpo ogni crudeltà facendo in modo che lo scempio si consumi lontano e in silenzio?

Tutto questo può davvero ridare dignità alla vita?

La tradizione, si sente dire spesso, non ammette defezioni, neppure da parte delle autorità politiche – per le quali anche quest’anno la kermesse nepalese avrà luogo.

Così concepita, però, essa non è che un’immensa cloaca: è l’insinuante schiavitù che soverchia la mente degli uomini rendendoli invisi a se stessi e alla propria natura. Come potrebbe mai darsi fede senza dubbio alcuno, ricerca della verità senza meraviglia?

La tradizione per esser tale – esprimendo così lo spirito e le idealità di un popolo nella dimensione storica di una cultura, la quale è sempre in fieri perché mai nulla può essere concepito al di fuori dello spazio e del tempo – deve poter mutare di senso, tradire se stessa, tradursi in una riflessione sulla natura sociale dell’ambiente in cui gli uomini, per la loro intrinseca e immanente vocazione animale, possono sviluppare le proprie potenzialità.

Come osservava il filosofo Thomas Nagel, nessuno saprà mai – per quanti sforzi potremo fare – che cosa si provi a essere un pipistrello. Per quale ragione, allora, dovremmo credere che la sua vita, come quella di qualsiasi altro animale, valga meno della nostra?

Firma la petizione di Change.org per abolire il Festival di Gadhimai

Antonello Palla

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