SULL’OCCUPAZIONE DEL TETTO DI GREEN HILL“Questo lager deve chiudere!” è scritto sullo striscione che dall’alba di
venerdì 14 ottobre è diventato il simbolo di una protesta che ha fatto il
giro di tutto il paese e ha puntato come non mai i riflettori e
l’attenzione sull’allevamento Green Hill e sulla vivisezione.
Quello striscione è stato calato dal tetto del capanno 1 dell’allevamento.
Sotto quel tetto quasi 900 cani sono in attesa di essere spediti verso i
laboratori di vivisezione di tutta Europa. Un tetto che come lo striscione
è diventato simbolo di una battaglia e da cui alcuni attivisti hanno
potuto dare voce agli animali prigionieri.

 

Alle ore 6.40 è scattata l’azione a sorpresa del Coordinamento Fermare
Green Hill. Cinque attivisti sono riusciti a salire sul tetto con una
scala, passando dal retro ed eludendo la vigilanza dell’allevamento, che
nemmeno si è accorta di quanto accaduto fino a quando, qualche minuto
dopo, fatte riprese e fotografie con tutta calma, lo striscione non è
stato calato sotto il loro naso anche dalla parte opposta del capannone.
Della scala nessuna traccia, e le guardie si domandavano come fossero
arrivati quei cinque lassù e se ci fossero chissà quanti altri in giro per
l’azienda.

Nel frattempo altri attivisti si sono presentati di fronte al cancello
d’ingresso, dando supporto a quelli sul tetto e monitorando l’attività
lavorativa. Gli operai che già stavano pulendo le gabbie e sfamando i cani
hanno potuto continuare il loro lavoro ed andarsene poi senza problemi dal
retro, ma nessuno si è presentato in ufficio per tutta la giornata. Dalle
alte sfere della multinazionale nessun segnale, solo il
biologo-vivisettore Bernard Goti, nella dirigenza di Green Hill, che nel
tardo pomeriggio è entrato con tanto di valigia e viveri e ha dormito
negli spogliatoi dell’azienda, per monitorare la situazione.

L’intenzione dei cinque attivisti di rimanere ad oltranza sul tetto è
stata mantenuta. Sono rimasti 29 ore su quel dannato tetto, mandando foto,
filmati, dichiarazioni, impressioni e sensazioni a noi tutti, fossimo lì
sotto, al presidio a poche centinaia di metri o a casa, distanti centinaia
di chilometri.
Le loro parole e la loro determinazione hanno scosso ed emozionato tutti.
Da sotto, al presidio non-stop che avevamo indetto da tempo, tutti avevano
parole di stima e di premura, per loro, ma anche per il gruppo di
sostenitori che gli sono stati vicini per tutte quelle ore, per tutta la
notte, che hanno vegliato sulla loro incolumità e che hanno trattato
continuamente e con non poche difficoltà con la polizia.

Da sottolineare ancora una volta l’atteggiamento del sindaco di
Montichiari Elena Zanola, che si è presentata di fronte ai cancelli
dell’allevamento senza degnare di uno sguardo o di una parola chi stava
sul tetto e chi era li a sostenere la loro protesta. Non ha chiesto come
andasse o se ci fossero pericoli, non ha fatto altro che accertarsi della
situazione con le forze dell’ordine, quasi a sincerarsi che per l’azienda
non ci fossero reali problemi. E siccome la signora Zanola è una di quelle
persone che potrebbero ritirare o sospendere la licenza di Green Hill
qualcuno dal tetto ha voluto chiedere cosa ne pensasse. Ovviamente il suo
atteggiamento che più di una volta ha attaccato il nostro operato e quello
di chi si batte contro questo lager, vergogna di Montichiari, non ha
favorito il dialogo. Di tutta riposta la Zanola ha pensato bene di
chiedere l’identificazione dei manifestanti, per denunciarli per
oltraggio.
Sapere poi che anche il banchetto del Comitato Montichiari Contro Green
Hill al centro fiere di Montichiari ha avuto nella stessa giornata
problemi dal direttore proprio su pressioni dello stesso sindaco, ci fa
pensare ancora una volta che dietro a tutta questa ostilità ci sia
qualcosa di strano.

Quella di venerdì è stata una lunga notte. E’ stata una notte di attesa.
E’ stata una notte di lotta, col pensiero agli animali che in questo come
in altri allevamenti conoscono solo soprusi e sopraffazioni, solo morte e
sofferenza.

Questa nostra azione eclatante ha voluto scuotere le coscienze e dare
visibilità ad un problema che in questa società viene troppo spesso tenuto
sotto silenzio, quello della vivisezione. E’ assurdo, ma anche sintomatico
di questa società specista, che a fare notizia su quasi tutti i canali
televisivi nazionali siano state 5 persone su un tetto per 29 ore e non
2.500 cani in una gabbia per tutta la vita. E’ assurdo che a fare notizia
sia la voglia di cambiare questo orrore e non l’orrore stesso.
Ma proprio per cominciare a cambiare questa società abbiamo lanciato
questa nostra campagna e continueremo le nostre lotte, che non sono fatte
da eroi ma da persone come tutti voi, persone sensibili, che provano
empatia e che hanno deciso di mettersi in gioco per fare la differenza,
nei momenti di visibilità così come nella quotidianità. La liberazione
animale è una strada fatta di tanti passi e ognuno di noi può essere uno
di questi.

E dopo queste difficili ed emozionanti giornate la lotta contro Green Hill
e contro la vivisezione non finisce. Anzi, ci si ritrova con rinnovate
energie, nuovi compagni di strada e nuova voglia di dare il tutto per
tutto. Perché adesso abbiamo potuto sentire forte e chiaro il richiamo di
quei cani che sotto quel tetto sono ancora sepolti dalla violenza del
profitto, che chiamano e urlano inascoltati, destinati ad un futuro
orribile.

Per la liberazione animale,
Coordinamento Fermare Green Hill

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Alcune foto della giornata:
https://secure.flickr.com/photos/fermaregreenhill/sets/72157627891535014/

I video della giornata:
http://www.youtube.com/user/infofermaregreenhill

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UNA BREVE CRONOLOGIA:

ore 06.40 – Scatta l’azione a sorpresa. Cinque attivisti sono riusciti a
salire sul tetto. Partono immediatamente comunicati sulle newsletter e a
tutti i media.

Ore 7.20- dopo che per un bel po’ le guardie dell’allevamento hanno atteso
invano che gli attivisti scendessero, arrivano Polizia Locale, Carabinieri
e Digos. Nessun problema per chi è sul tetto, nemmeno per chi è davanti al
cancello, che ribadisce la volontà di rimanerci a lungo.

Ore 8.00 – un camion rimorchio con un enorme impianto di illuminazione va
sul retro dell’allevamento e torna vuoto. L’autista, ignaro di cosa stia
realmente accadendo, si rivolge agli attivisti davanti al cancello dicendo
che ha scaricato l’impianto e che c’è una fattura da firmare. Con
nonchalance un paio di attivisti chiedono di vedere la fattura, intestata
a Green Hill e comprendente 1500 euro di cauzione, ma non la firmano.
L’allevamento aveva affittato l’impianto per illuminare i campi sul retro
in vista del presidio notturno.

ore 11.07 – Gli uffici di Green Hill sono chiusi per la giornata. Gli
operai hanno finito di pulire le gabbie e se ne vanno.

ore 11.14 – Sono volate dagli alberi sui tetti le bandiere della campagna
“fermare green hill”, che ora sventolano sul capannone. Intanto la digos
cerca di convincere gli attivisti a scendere dopo che saranno stati
filmati dalle varie televisioni. Ovviamente gli attivisti non accettano
alcuna trattativa!

ore 11.17 – Hanno bloccato gli accessi a Green Hill, i giornalisti non
possono avvicinarsi per intervistare gli attivisti.
.
ore 12.04 – 2 televisioni locali sono riuscite ad avvicinarsi per
intervistare gli attivisti. In poco tempo la notizia sta rimbalzando su
media locali e non

ore 14.02 – una voce dal tetto: “sentiamo costantemente il latrato
disperato di alcuni beagles sotto di noi. La noia atterrisce la maggior
parte di loro e li rende silenziosi, se non ci sono rumori. Ma qualcosa fa
si che alcuni di loro urlino disperati ininterrottamente da ore,
probabilmente da giorni. Dolore? Paura? Da qui non possiamo saperlo.”

ore 15.30 – cominciano ad arrivare persone al presidio, alla base della
collina. Tutte sanno già della situazione.

ore 16.52 – Una troupe del TG1 arriva sul posto per parlare con gli
attivisti che stanno protestando.

ore 17.27 – Alcune persone hanno deciso di dare solidarietà agli attivisti
sul tetto passando per il campo posto sul retro del capannone occupato.
Per la polizia hanno commesso una gravissima infrazione e vengono portate
giù.

ore 18:19 – Elena Zanola, sindaco di Montichiari, si è presentata davanti
ai cancelli di Green Hill per verificare lo stato della situazione ma
senza nemmeno volgere lo sguardo o una parola ai manifestanti. Ha ricevuto
fischi e forti critiche, indispettita ha fatto prelevare i documenti a
diversi attivisti e preannunciato che sporgerà denuncia per oltraggio.
L’unico oltraggio concreto a cui ci troviamo di fronte è l’indifferenza
del sindaco Zanola e di chiunque ha permesso fino ad ora a Green Hill di
lucrare sulla vita di migliaia di cani beagle. Nel frattempo attivisti
vicino all’allevamento ci informano che tra i dirigenti di Green Hill c’è
molto nervosismo, ovviamente.

ore 18.49 – Al tramonto il capannone è ancora occupato dagli attivisti.
C’è bisogno di supporto! La notte sarà lunga e fredda.

ore 20.00 – Al presidio si cena, ma la polizia decide che chi è davanti al
cancello a dare solidarietà da vicino non deve ricevere cibo, acqua e
nemmeno coperte per passare la notte. Queste persone non erano preparate
al peggio, hanno con sé solo una felpa e poca acqua. Le discussioni si
fanno accese e molti cominciano a cercare di arrivare dai campi,
intercettati dalle pattuglie poste intorno all’allevamento.

ore 0.16 – Due gruppi separati di persone sono riusciti a raggiungere chi
dalla mattina si trova davanti al cancello di Green Hill e portare loro
acqua, cibo e coperte. C’è stata qualche discussione e si è creata della
tensione con la polizia, quest’ultima voleva impedire fisicamente di far
mangiare gli affamati, strappando loro di mano la pentola del riso, e ha
tolto le coperte a persone infreddolite.
Alla fine la situazione si è calmata e i nostri attivisti e le nostre
attiviste hanno avuto possibilità di mangiare e di passare la notte
provvisti di coperte.

ore 8.30 – Una lunga e fredda notte ventosa è passata. Decine di persone
hanno dormito vicino ad un fuoco al presidio, mentre altre sono state su
un tetto e altre ancora al freddo vicino al cancello dell’allevamento.
Le trattative sono andate avanti ed è stato strappato l’accordo che quando
le tre attiviste e i due attivisti scenderanno dal tetto non verranno
portati in Questura, ma solo identificati sul posto e fatti accedere al
presidio.

ore 9.27 – Comunicato dal tetto: “Stiamo per scendere dal tetto. Siamo
felici per la risonanza avuta e per il fatto di essere riusciti a
riportare i riflettori su questo posto. Ma certo la lotta non si ferma qui
e con questa azione. Azioni eclatanti come questa non sono la cosa
importante. Lo sono invece la creazione di consapevolezza e il cambiamento
culturale in cui ci impegnamo giorno dopo giorno.
La futura chiusura di Green Hill fa parte solo di un percorso lungo e
difficile che porterà alla chiusura di tutti i luoghi di sfruttamento.
Due parole, per concludere, su quanto accaduto qui questa notte e questa
mattina. Questa notte è stato negato il permesso di fornire coperte e cibo
sia a noi che ai ragazzi rimasti a farci da supporto fuori dia cancelli
dell’allevamento. E quando coperte e cibo sono stati finalmente portati ,
un poliziotto ha dato prova di inutile prepotenza sequestrando le coperte
in un esercizio arbitrario di potere francamente evitabile.
Questa mattina abbiamo assistito al ridicolo tentativo da parte di un
rappresentante di Green Hill di accusarci di aver interrotto la normale
attività lavorativa, quasi che fosse in nostro potere impedire l’accesso a
chicchesia o fosse nostro fine far restare i cani qui rinchiusi senza
cibo. Ribadiamo che il nostro obiettivo è unicamente la chiusura di questo
posto aberrante.
I Cinque del Tetto”

ore 11.00 – I 5 attivisti del Coordinamento Fermare Green Hill, di comune
accordo, sono scesi dal tetto del capannone dove si trovavano. Per il
momento scorre tutto tranquillo, gli ‘accordi’ sono stati mantenuti e i 5
hanno raggiunto il gruppo dei manifestanti dove sono stati accolti in
maniera calorosa. Alcuni di loro hanno realizzato delle interviste con
diverse radio e giornali arrivati sul posto.

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TESTIMONIANZE DOPO IL TETTO

ROBERTA:
Ormai siamo scesi dal tetto da alcuni giorni
solo ora cominciano a farsi sentire le sensazioni provate in
quell’orribile posto
per trenta ore sospesi su 500 cani, sulla loro non vita
immersi nei loro latrati disperati e incessanti che nessuno calmerà mai
mai una carezza, mai uno sguardo che sia almeno compassionevole.
E a pochi metri da noi altri quattro capanni.
Una parte di me è ancora lassù, non si rassegna
li abbiamo lasciati li, per loro nulla è cambiato.
Forse hanno avvertito la nostra presenza, qualcosa di diverso nei loro giorni
tragicamente identici
forse hanno sentito le nostre urla di rabbia verso i loro carnefici
forse gli abbiamo dato la speranza che il loro destino non fosse segnato.
Più il tempo passava e più quello che vedevamo sembrava surreale.
Non è un luogo deserto, quei cani non sono stati rinchiusi e gettata la
chiave.
Le persone (o per lo meno qualcosa che fisicamente ci si avvicina ma non è
degno di tanta considerazione) li trascorrono interminabili turni di
lavoro.
Ma sono indifferenti e vuoti come automi .
Purtroppo anche fuori si trova gente cosi.
qualcuno mi chiede “ma chi te l’ha fatto fare? tanto non servirà a niente”
Avremmo tutti voluto assistere alla chiusura immediata di questo lager
Sapevamo non sarebbe avvenuto ma nessuno può più permettersi di negare o
nascondersi dietro all’alibi dell’impotenza di fronte all’inevitabile .
I nostri racconti parlano di odori, rumori e anche di silenzio
Tutto ricorda che siamo nell’anticamera della morte
E non una morte tragica, ma voluta e pianificata in nome della lucrosa
scienza.
Tutti devono sapere che Green Hill è solo capanni asettici che emanano
senza tregua un’aria irrespirabile e putrida ,
capanni che anche volendo non puoi fingere di non vedere perché sempre
illuminati al loro interno, li vedi sempre li sulla collina.
Questi cani non conoscono nulla di quello che dovrebbe far parte della
loro vita
Non c’è erba
Non c’è aria naturale
Non ci sono caldo e freddo
Non c’è pioggia
Non c’è scorrere del tempo.
Per noi accendere e spegnere la luce è un gesto del tutto insignificante
Non dimenticherò mai l’improvviso intensificarsi dei latrati quando il
capanno
su cui eravamo è stato lasciato senza luce
A tutte le paure che già vivevano si è aggiunta anche la scoperta di poter
trovarsi al buio
Al buio da soli
noi non siamo mai stati lasciati soli, il sostegno è stato tanto e grazie
alle persone che hanno resistito insieme a noi non abbiamo mai smesso di
urlare il dolore di quei cani
Non smetteremo mai di raccontare ciò che vivono e di raccontare quello che
li aspetta una volta fuori dai quei capanni
Chiunque può scegliere di non voltarsi più dall’altra parte
Avvicinatevi a questo posto
Non ha niente di diverso dagli ormai dimenticati campi di concentramento
L’odore di morte che si respira qui è lo stesso che vi assale davanti ad
ogni luogo di sfruttamento

LORENZO:
C’è chi ha chiamato me, e chi era sul tetto con me, “eroi”.
Io riesco solo a sentirmi uno schifo.
Essere stato fisicamente così vicino a quei prigionieri, aver diviso con
loro lo spazio fisico e temporale di poco meno di 30 ore è qualcosa che mi
ha segnato profondamente.

In quei momenti cercavamo di pensare ad altro, a tenere duro, a far
arrivare la voce di quei cani il più lontano possibile, a far sentire il
nostro disprezzo per chi, quei cani, li manda a morire anziché difenderli,
alla solidarietà dei nostri compagni che ci ha instancabilmente
accompagnato e fatto forza; spesso, per non impazzire, è subentrato un
meccanismo innato di autodifesa che ci ha portato a ridere e scherzare.
Ma è stato inevitabile ritrovarci soli con l’urlo disperato di centinaia
di prigionieri che chiedevano semplicemente aiuto.

In un modo inconfondibile, istintivo di chi non conosce nulla del mondo,
se non una lurida gabbia illuminata notte e giorno, una non-vita fatta di
noia, interrotta solo dal dolore.
Un urlo che ti penetra l’anima e ti mette di fronte semplicemente a te
stesso.

In quel momento non esiste più nulla, non esiste il freddo, il tetto
scivoloso, la solidarietà degli altri, lo schifo e il disprezzo verso gli
aguzzini, la campagna, il movimento, la regione, il sindaco, i giornalisti
che incessantemente vogliono essere aggiornati.
Esisti solo tu e tanti, troppi fratelli per i quali ti rendi conto di non
poter fare nulla.
Hai visto centinaia di volte le foto provenienti dai luoghi dove quei cani
sono diretti, e sai che anche chi stai sentendo in quel momento finirà,
inevitabilmente, così.

Vedi tutti i giorni altri cani, usciti da un posto molto simile
(l’allevamento Morini di San Polo d’Enza), e sai quanto diventerebbero
meravigliosamente felici, anche se segnati per sempre, una volta che
qualcuno dovesse prendersi cura di loro (come un’associazione
meravigliosa, e tante persone instancabili, hanno fatto coi beagle
ritirati dalla chiusura di quell’allevamento).
L’impotenza che ti assale è devastante.
La nostra voce, che volevamo arrivasse ovunque, usciva spesso rotta da
emozioni atterrenti.
Abbiamo pianto.
Non abbiamo voluto parlare fra di noi di quello che provavamo. Non ce
n’era bisogno.

Quelle 29 ore mi hanno dato la consapevolezza che dobbiamo fare tutto ciò
che è in nostro potere (e anche di più) per far sentire la voce di tutti
condannati a morte, stipati nei tanti, troppi, campi di concentramento sui
quali gli assassini non si prendono nemmeno il disturbo di scrivere “il
lavoro rende liberi”.

Agire senza temere le conseguenze, perché quanto di più terribile potrà
mai accadere ad un essere umano nella vita, non sarà mai paragonabile a
ciò che quegli animali sperimentano in ogni singolo istante, dalla loro
nascita alla loro morte, sia essa su un freddo tavolo operatorio, sui
ganci di un mattatoio o sui tavoli di una conceria.

La liberazione animale non è un concetto da discutere accademicamente in
aule universitarie.
Non è un pretesto per nutrire il proprio ego.
Non è una “cosa umana” che si presta a dissertazioni di vario genere.

Non trova luogo su facebook, sui forum o in altri luoghi irreali, che,
curiosamente, come gli allevamenti sono non-luoghi, fatti di non-tempo e
non-spazio.
La liberazione animale è semplicemente qui ed ora, per tutti quelli che
stanno aspettando la morte per mano umana.
Ci sono diversi modi per raggiungerla ed ognuno trova quello a sé più
congeniale.

La cosa importante è avere sempre ben chiaro a chi sia rivolta la lotta. E
quei latrati, ancora così vivi dentro di me, me lo ricorderanno per
sempre.
E se quell’urlo lo hai davvero dentro, non puoi che dirti “fino alla fine”.
Tengo profondamente a precisare che in questa meravigliosa azione diretta
la mia parte è stata di certo fra le più visibili, sicuramente non la più
importante, né, di certo, la più impegnativa.

Ciò che ho fatto, che abbiamo fatto, è stato il frutto di un lungo lavoro,
di tante persone, che sentono così forte la questione animale da dedicarvi
l’intera vita, notte e giorno. Nulla ci rende speciali, se non l’aver
guardato, a un certo punto della nostra vita, negli occhi un animale e
averlo sentito parte di noi stessi ed essendoci sentiti parte di lui.

GIULIANO:
Ad un certo punto mi son trovato su un tetto.
Non un tetto qualunque.
Era un tetto strano…come non ne avevo mai visti e calpestati in vita mia.
Subito, appena ho posato i piedi lassù, non mi sono reso conto di cosa
fosse…l’adrenalina aveva il sopravvento dovevamo contemporaneamente
calmarci in fretta per non fare errori (tipo cadere) e sbrigarci a fare
quello che dovevamo per assicurare a noi e a chi ci guardava da sotto una
lunga permanenza sul posto.
Fatto.
siamo pronti.
E allora di nuovo quella sensazione.
Mi alzo per evitare il più possibile il contatto con quel tetto.
Ora mi rendo conto di cos’è…in effetti è una cosa che avrei dovuto
capire subito.
Quel tetto trasuda sofferenza e indifferenza.
Un misto di odori micidiale che, assieme a quello della candeggina, esce
anche dai bocchettoni dell’impianto di areazione…quello che all’interno
rende tutto asettico.
Quel tetto non ci avvolge soltanto con i suoi odori.
Quel tetto urla.
Sotto di noi centinaia di cani sono pronti per partire verso le abili mani
dei “ricercatori che tanto si danno da fare per il bene dell’umanità”.
Verso quelli, a detta del biologo di greenhill che ci guardava con odio da
sotto, che dobbiamo ringraziare se siamo ancora vivi.
vivisettori.
spaccaossa.
avvelenatori.
usurpatori.
Quando abbiamo salutato, mostrando le nostre candide manine dal lucernaio,
i lavoratori dentro il capanno li abbiamo
visti uscire con dei bastoni in mano…poveretti che si convincono di
essere prodi paladini in difesa del bene.
Le guardie non ci capiscono nulla…”e questi da dove escono?!”
Iniziano a correre a cercare altri intrusi.
Quando rivolgiamo loro la nostra attenzione dall’alto, rispondono che
fanno solo il loro lavoro, esattamente come i vivisettori rispondiamo noi.
uno dice che non è colpa sua “devo venire perché ancora questo posto non
l’hanno chiuso”
beh…farò di tutto per salvarti povera guardia indifesa.
Ora noi siamo tranquilli e aspettiamo, siamo in grado di resistere a lungo
su quel tetto, sono preoccupato però per chi sta fuori dal cancello a
riprendere con le videocamere e controllare che non ci venga fatto del
male.
Il tempo passa con le solite cose che si fanno sopra i tetti
si parla
si mostra lo striscione
si scrivono pensieri da mandare sul web
si girano filmati
si scattano foto
si saluta il mi’ figliolo e la su mamma
si risponde alle domande dei giornalisti e un po’ meno a quelle dei
poliziotti
si prova a trasmettere il nostro sentimento nei loro confronti ai
dipendenti di greenhill che entrano sotto di noi per andare a cambiarsi
scortati dalle guardie e con il volto coperto…ma qual’é il lavoro che ti
costringe a coprire il volto se non quello del boia?
si urla
si cerca di non pensare al perché quel tetto urla
si mangia e si beve
si fa cacca e pipì.
Arriva la notte
il gelido tetto non ci da tregua
noi siamo attrezzati per il freddo ma quelli del nostro gruppo che sono
rimasti giù no
la polizia gli impedisce di muoversi da li, chi scende non può più salire.
Viene negata la possibilità di avere cibo caldo e coperte.
il tempo scorre lento ma chi ci guarda da giù non ci abbandona un istante
ci chiama
cerca di rincuorarci e ci riesce sempre
canticchiamo e ballicchiamo
non sempre ho la forza per ringraziare o rispondere, cerco di muovermi il
meno possibile per non creare spifferi sotto la coperta termica.
all’improvviso un nuvolone di terra ed una voce “cibo e coperte!”
tafferuglio con la polizia
minacce “adesso qualcuno si fa male!” oppure indicando noi sul tetto “ora
andiamo a prenderli!”
sotto riescono a portare a destinazione il tutto ma, nel modo di
comportarsi più triste e perverso che potessero
adottare in quel momento, i digos sequestrano le coperte.
dopo le restituiscono.
Anche se non erano per noi sul tetto, questo gesto mi ha scaldato lo
stesso (e non parlo della restituzione!)
Così come ci scaldavano le parole che ci arrivavano dal presidio più in
basso.
Arriva la mattina
la nostra iniziativa ha ottenuto un buon ascolto mediatico.
quanto durerà?
in quanti si saranno già dimenticati di quello che hanno letto, ascoltato
e visto?
ora bisogna continuare
queste ultime frasi non le penso più la sopra quel tetto
ora sono di turno in canile
guardo tutti i cani che mi corrono intorno, abbaiano, annusano, scavano
e penso a quelli che stavano sotto di me.
ora non ho più bisogno di proteggermi
ora l’orrore è libero di fare il suo dovere
quei beagle che, una volta usciti da sotto quel tetto che li ripara, non
vivranno mai fuori del loro piccolo stabulario
asettico…come asettica vorrebbero far diventare la nostra coscienza.
poi guardo quegli altri beagle
quelli usciti da un altro posto orribile che come greenhill allevava per
la vivisezione
i beagle di morini
mi ricordo di quando sono entrato nel piazzale dell’allevamento per
ritirarne una parte…i loro occhi…
Adesso ci sono anche loro a correre, abbaiare, annusare e scavare ed
assieme a loro penso anche a quelli che hanno nche trovato una famiglia
pronta ad accoglierli
e questo mi da speranza
spero che questa cosa che ho fatto serva davvero a risvegliare sempre più
persone
a fargli capire che è necessario esporsi, informare, partecipare attivamente.
senza la partecipazione attiva non si possono cambiare le cose, e parlo
anche di chi cerca di affrontare il discorso
anche (o solo) a livello filosofico (tranne quando parla di cose che non
sa eo spara cazzate).
Alla fine voglio ringraziare tutte le persone che hanno partecipato al
presidio notturno sempre pronte ad aiutare.
Chi ha fatto da ufficio stampa.
Le ragazze ed i ragazzi che davanti al cancello di greenhill ci facevano
sentire il loro calore e ci rendevano più
sicuri e più calmi…
e le splendide persone con cui ho condiviso il tetto in quelle 30 ore…
grazie a voi ho vissuto una delle esperienze più terribili ma anche belle
ed intense della mia vita.

SERENA:
Ad oggi  posso dire di stare bene. E’ andato tutto come previsto e
l’obiettivo è stato raggiunto.
Ma sono convinta che, quando mi fermerò un attimo a riflettere su quello
che è successo, le lacrime prenderanno il sopravvento e finalmente
riuscirò ad espellere questo macigno che mi porto dentro.

Abbiamo occupato per 30 ore il tetto del capanno numero uno, il capanno
riservato ai cani in partenza. Queste povere creature sono ignare di
quello che sarà il loro destino: un abuso costante sia psicologico che
fisico che avrà fine solo quando il cuore di questi animali smetterà di
battere.
Ed è a questo che ho pensato quando, scesa la notte, eravamo solo noi e i
nostri fratelli non umani a qualche metro di distanza. Sentirli abbaiare è
stato straziante perché nella mia testa continuavano a scorrere le
immagini terribili che documentano la realtà dei luoghi di tortura. Questa
situazione non mi ha fatto chiudere occhio e ha creato dentro di me attimi
di sconforto, di paura e di angoscia.
Il momento più insopportabile è stato quando hanno deciso spegnere le luci
del capanno. Dico questo perché i cinque capanni dell’allevamento sono
costantemente illuminati giorno e notte, quindi i cani del capanno uno
hanno iniziato ad abbaiare come non mai perché per loro quella condizione
non era normale. Ma alla fine si sono tranquillizzati e, probabilmente per
quella notte, per una sola notte, sono riusciti, per assurdo, a riposare.
Green Hill oltre ad essere un allevamento intensivo, è il simbolo della
lotta alla vivisezione. Questo lager è da troppo tempo ormai che lucra
sulla vita di migliaia di esseri senzienti, continuando a far soldi
sporchi di sangue.
A noi tutto questo fa schifo e lotteremo fino alla fine, finché questo
inferno non cesserà la sua attività infame!
Ringrazio le amiche e gli amici che con me hanno partecipato attivamente a
questa azione dimostrativa, ma soprattutto ringrazio coloro che ci hanno
aiutato nell’azione stessa e che sono rimasti ai cancelli per tutta la
durata dell’occupazione. Un abbraccio anche a chi ci ha sostenuto dal
presidio e a chi non ha avuto modo di essere
fisicamente presente ma che con il cuore è stato con noi fino alla nostra
discesa. Vi voglio bene!
Voglio dedicare questa azione a tutti gli animali che tuttora sono
rinchiusi nei luoghi di sfruttamento e di tortura, per dire loro che ci
sono persone che quotidianamente lottano affinché questo sterminio cessi
di esistere e che, per questo, rischiano loro stessi la propria libertà.
Per la liberazione animale!

CRISTINA:
Mentre ce ne stavamo abbarbicati sul tetto, mentre sorgeva il sole, con il
passare delle ore calde del pomeriggio, con l’avvicendarsi del tramonto e
del vento gelido della notte, in quel mentre sotto di noi e nei capanni
che ci circondavano erano rinchiuse centinaia di creature destinate a
nascere e crescere in gabbia, e a morire nel peggiore degli incubi, senza
aver mai visto il sole, sentito il vento, o capito la differenza tra notte
e giorno.
Quando qualcuno mi chiede come abbiamo fatto a resistere a tanto disagio,
o ci chiama eroi, non posso non paragonare noi a loro (così come a tutti
gli animali, anche umani, vittime dello sfruttamento, della schiavitù,
della violenza). Noi alla fine siamo tornati a casa. Loro no. Noi siamo
fortunati, perché liberi.
Credo che il modo migliore di godere della mia libertà sia usarla per far
quel poco che posso affinché l’aberrazione di questi luoghi diventi solo
un brutto ricordo, per l’abolizione di ogni schiavitù.

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