MEDUSE[1]IL NON-LUOGO: DOVE IL LIQUIDO, MAGMATICO, GELATINOSO, INDEFINIBILE, SFUGGEVOLE, ECTOPLASMATICO SI REALIZZA.

Liquido, liquefatto, magmatico, gelatinoso, indefinibile, sfuggevole, ectoplasmatico. E’ in un contesto del genere che si formula intimamente quella Weltanschauung che verrebbe interpretata come connessione con il mondo esteriore, ancorché estremamente evanescente: guardi la TV ed immediatamente si viene proiettati in un frullatore di emozioni completamente contrastanti ed antitetiche; si passa da un canale all’altro magari guardando qualcosa di estremamente divertente e ci si arrende all’emozione di ilarità e contentezza; immediatamente dopo siamo proiettati in un mondo di terrore e morte assoluti senza via di scampo se non quella di obliterare ciò che ci aveva reso divertiti e rilassati un millisecondo prima; tensioni aumentano, improvvise, non richieste eppure sono lì, telecomandate.
Qualche tempo fa un articolo apparso su l’International Herald Tribune firmato da Anand Giridharadas dal titolo “The struggle of the Global Placeless” (La lotta dei Fuori posto Globali) metteva in risalto come da una sorta di stigma, una lettera scarlatta, un marchio a vita su individui visti quasi come appestati, tale imprescindibile realtà ha – nel XXI Secolo -  visto rivoltato completamente il suo significato profondo, esaltando invece le caratteristiche di persone che – piaccia o no – hanno, da vite vissute e formate in posti geograficamente diversissimi fra di loro accumulato una tale esperienza anche senza volerlo, che oggi come oggi sono la parte preponderante e all’avanguardia nella maggior parte dei campi del sapere in un’armonia globalizzante quasi appunto liquida, gelatinosa, sfuggente: l’esaltazione del non-luogo.
Il non-luogo. L’applicazione delle esperienze avvalorate da precedenti vicende vissute come formanti mi fanno venire in mente – mi si permetta la licenza - le avventure di un personaggio dei fumetti Marvel dall’intrigante nome di: Doctor Strange Maestro delle Arti Mistiche. Si narra dunque di un neurochirurgo di fama mondiale (Stephen Strange), messo in scena generalmente nella città di New York come paradigma delle città Americane conosciute in tutto in mondo ma rappresentativamente potrebbe essere un luogo (un non-luogo mentale) allestito in una qualsiasi città del pianeta e che, data la fama, naturalmente frequenta il bel mondo, i ricchi e famosi, i “movers and shakers” i “trend-setters” cioè coloro che “fanno tendenza“.
Inutile dire che in termini descrittivi del personaggio, Dr. Strange ha necessariamente tutte le caratteristiche riscontrabili nelle persone che sono abituate a combattere ferocemente per auto-affermarsi, rendersi visibili sempre e comunque, spesso calpestando i più elementari dettami della narrativa umana, coloro che agiscono con la più bieca arroganza, vivono la peggiore ipocrisia, disprezzano la vita umana in quanto paradossalmente sono coloro che – vista l’attività di medico chirurgo la danno, (anzi la ridanno) – e dunque si rispecchiano nel delirio di totale onnipotenza, in un mondo molto personale dove tutto deve essere perfetto, dove l’imperfezione viene vista come fastidio, seccatura, difetto da aggiustare.
Inutile dire inoltre che tale disarmonia è la risultanza – nella mente univoca del Dr. Strange - di una realtà che, nonostante gli sforzi per cambiarla e cacciarla dalla porta principale, essa ritorna dalla finestra con tutto il suo bagaglio di dolore ed ”imperfezione” quale l’impossibilità di vedere che esiste la pietà, e che l’essere umano è fatalmente legato al suo destino anche per fattori contingenti e se non riesce a cambiarlo sprofonda così nei suoi più spaventosi lati oscuri; l’esistenza perciò del dolore psichico, e l’impossibilità di “eliminarlo”. Ciò si delinea più propriamente nella parte nascosta della città con tutti i suoi derelitti, le anime perse, gli alcolizzati e mentalmente instabili, i senza casa, pregiudicati evasi, gli assassini, le prostitute ed i senza meta: Stephen li osserva giornalmente disgustato dai vetri della sua automobile filosofeggiando negativamente che se non ci fossero sarebbe meglio per un più “decoroso” e “decente arredo urbano”…a tanto arriva il disprezzo e l’arroganza di chi pensa essere la “parte sana” della città.

Ma come nelle migliori – e più classiche – filmografie Statunitensi la legge del contrappasso è sempre in agguato. Di ritorno da una delle innumerevoli feste nella parte urbana più esclusiva, di notte, e con molte ore di lavoro ospedaliero giornaliero alle spalle, l’impensabile accade: un tragico incidente d’auto. Stephen avrà salva la vita ma perderà per sempre la capacità di utilizzare le mani irrimediabilmente danneggiate, esse non risponderanno più agli ordini impartiti dal cervello, dai suoi neurotrasmettitori, le terminazioni nervose compromesse per tutta la vita.

In una narrazione ben tratteggiata l’impatto è devastante: da ricco e famoso, stimato, rispettato e molto invidiato Stephen si risveglia nella sala operatoria non già come parte attiva ma passiva, colui che prima operava viene a sua volta operato. E dopo la convalescenza, la consapevolezza di non poter più lavorare nel campo dove si è formato ed ha dedicato buona parte della sua vita lo porta su l’orlo di un baratro che poco tempo prima era identificato solo come il suo “altro da sé”, l’estraneo, l’impossibile, impensabile, immediata non-realtà, immediato non-luogo; in pochissimo tempo egli viene abbandonato da tutti, da quella società parassita che viveva del suo successo, il suo matrimonio fallisce, la sua ricchezza dilapidata, tutto crolla in una spirale di disperazione senza la minima possibilità di vedere la fine, e presto si ritrova a condividere quella realtà depressiva che prima aveva condannato come “arredo urbano indecoroso”: anche lui alcolizzato, derelitto, sull’orlo della pazzia, frequentatore della “parte malata” della città.

Abbiamo visto però che Stephen deve vedere il fondo, anni ed anni di lavoro su individui che mettono la vita letteralmente nella sue mani lasceranno il segno nonostante tutto ed un giorno, irriconoscibile ai più Stephen viene avvicinato da uno di quelle anime perse di cui diviene amico che gli confida dell’esistenza dell’ Antico, colui che guarisce i mali dell’ intero Universo.
Le ultime sue fortune Stephen le spende per raggiungere questo misterioso personaggio in Oriente, dove l’ Antico vive la vita da eremita, anziano stregone diffidente ma con un potere immenso.
Dopo molti anni di pratiche magiche  – e come tutti i pupilli di personaggi illuminati e sapienti - l’allievo supera il Maestro, così Stephen si ritrova possessore di capacità ed arti mistiche che gli permetteranno di salvare il mondo dai continui attacchi delle forze del male; una di queste numerose pratiche esoteriche consiste nel raggiungere uno stato meditativo talmente profondo da poter lasciare il proprio corpo e avventurarsi con il proprio ectoplasma in un universo popolato da forze malvagie che Stephen dovrà combattere, entrando – proprio come in un sogno dove la coscienza non risponde ai normali canoni spaziotemporali del periodo di veglia - attraverso una “porta percettiva” in una realtà liquida, liquefatta, magmatica, gelatinosa, indefinibile, sfuggevole, ectoplasmatica appunto: un non-luogo. Gli alieni, coloro che sono visti come dei reietti, sfruttati, vilificati, disprezzati, mercificati sono ora coloro che hanno la possibilità di cambiare il mondo, rendere il male un dettaglio da analizzare e renderlo parte del “tutto” per vanificarlo, raffigurarlo come gelatinoso, liquefarlo, plasmabile per il bene comune.

Marco Rossi

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