“LEIELUI” STORIA DI PASIONE E INTROSPEZIONE. L’ULTIMO ROMANZO DI ANDREA DE CARLO GIA’ AI VERTICI DELLE CLASSIFICHE DI VENDITA.

Andrea De Carlo è nato a Milano. E’ uno dei più accreditati autori italiani. Ha esordito nella narrativa con “Treno di panna”, seguito da “Uccelli da gabbia e da voliera”. Il suo romanzo più noto è “DuediDue”, pubblicato nel 1982. In totale ha scritto 16 libri, ora, tutti in ristampa da Bompiani.

“LeieLui”,  il suo ultimo lavoro, è una storia d’amore che si svolge tutta in un’estate. E’ l’incontro tra Claire Moletto, un’americana che vive in Italia, e Daniel Deserti, autore di best sellers internazionale. E’, in realtà, un romanzo sulla passione, su quello che accade quando due persone ricevono una sorpresa inaspettata. I due protagonisti, molto diversi tra loro, sono in una fase della loro vita, in cui non si aspettano più nulla, per una serie di situazioni: storie andate male, considerazioni che si sommano alle delusioni. E’ un libro che ben riflette il nostro periodo, il “buio” sentimentale che, spesso, aleggia sulle nostre vite. In fondo, ognuno vi si potrebbe identificare. La lettura è piacevole, considerando che quì, De Carlo, non ha fatto “torto” ad alcuno dei due sessi, essendo, l’intera vicenda, narrata, a capitoli alterni, sia, dal punto di vista femminile che da quello maschile. Impresa ardua, considerando che l’autore ha dovuto fortemente immedesimarsi nella complessa psiche femminile, nella sua sensibilità, nel differente modo di vivere cose e situazioni. A ben vedere è un’ “esercizio” riuscito perfettamente. La lettura si “assapora” rapidamente attraverso un susseguirsi di aggettivi e sostantivi ai quali De Carlo ci ha da sempre abituati.  Echi di “DuediDue”, ma quì, vi è un De Carlo più maturo, migliorato, emozionante…

“La storia ha inizio con lui”- esordisce De Carlo- “che sta guidando come un pazzo, in un’autostrada piena di traffico. Le auto gli lampeggiano. E’ pervaso da una furia virulenta. Lei invece, è una donna che ha seguito il suo istinto, le sue passioni, come fanno spesso le donne, rinunciando a delle cose che aveva, cui teneva, in nome dei sentimenti, di chi amava.   Si scontrano con le auto. Lui, alla guida della sua Jaguar scassata, rabbioso ed anche un pò ubriaco.       Erano anni che pensavo a questa storia, vista al femminile. Poi, man mano, ho ritenuto che, ancora più interessante, potesse essere una storia raccontata sia dal punto di vista femminile, sia da quello maschile, alternando i capitoli. Non è una cosa semplice! Per un uomo non è facile immaginarsi “femmina”. E’ un tentativo che ogni uomo dovrebbe fare. Quando un romanziere scrive una storia, fa questo molto spesso: abbandona il se per “abitare” altre persone che poi sono un pò una parte di noi. Non facciamo altro che scegliere qualcosa di molti elementi  a disposizione per diventare “quella” persona.   Il nome del protagonista, Daniel Deserti, credo faccia già capire il suo stato: una specie di deserto emotivo, creativo, sentimentale, un naufrago in terra. Lei, vittima del tamponamento.  Quello che accade poi è un qualcosa che scatta miracolosamente tra i due e ne stabilisce un collegamento.  E’ una sorta di storia di passaggi.   Ho voluto raccontare quello che c’è dopo questo primo impatto. Non voglio rivelare altro, anche perchè solitamente, gli scrittori sono quelli che raccontano peggio i propri libri.”

“Come si è sentito nel mettersi a confronto con l’universo femminile?”

“E’ stato strano. Innanzitutto c’è da fare una premessa: un romanziere non inventa mai del tutto. Prende spunto dalla vita di qualcuno e la trasforma in racconto. Prendi Lei, e ci inserisci un’elemento di qualcun altro e, talvolta, anche di te. Quando poi decidi di raccontare qualcosa dal punto di vista di una donna, devi andare oltre, immaginarti al suo posto. E’ una cosa che richiede tempo, uno sforzo mentale. Poi, lo sforzo scompare, e tutto diventa sorprendente, ti porta a vedere cose in modi che non avresti mai immaginato. E’ stato molto interessante.”

“Che tipo di scrittore è lei? Più un Simenon, che scriveva due ore al giorno appena sveglio, oppure uno scrittore che butta giù qualcosa appena ha un’idea?”

“Diciamo che adotto un metodo non spettacolare e neanche particolarmente romantico di chi comincia a lavorare la mattina e finisce la sera. Mi hanno sempre incuriosito i romanzieri che lavorano con metodi particolari come, appunto Simenon, uno degli autori più prolifici della storia della letteratura. Oppure Moravia, che diceva di scrivere, esclusivamente, dalle 8 a mezzogiorno. Moravia, però, non smetteva mai di scrivere. Terminato un libro, ne iniziava un altro.  Era come un atleta, che si tiene costantemente in forma, che non si riposa mai e, probabilmente, non cambia mai neanche la sua tecnica di corsa. Quando io finisco un libro, ho bisogno di fare altro, di andare in giro, di leggere libri di altri, di fare cose anche molto fisiche invece che mentali. E’ un lavoro solitario, quello dello scrivere, in cui nessuno può insegnarti nulla. Ognuno scrive a modo suo.”

“Tra i personaggi che ha raccontato, ce n’è qualcuno che ricorda con nostalgia o che vorrebbe riprendere?”

“Ogni personaggio ti da e insegna qualcosa. Ogni volta ho esplorato una parte di me che non conoscevo. In questo senso, sono riconoscente a questo lavoro. Mi è capitato, non tanto che mi mancassero i personaggi, quanto, il chiedermi dove fossero finiti.  Un pò capisco gli autori che riprendono i personaggi e trasformano la storia in una saga che, a volte, si conclude con la morte dell’autore e non la fine del personaggio.  Senza arrivare a questo, quando mi assale la vaga idea di riprendere un personaggio, penso che sia più interessante cercare un protagonista nuovo.”

“In che fase della sua vita è? La rappresenta un pò questo romanzo?”

“Sì, questo romanzo mi rappresenta molto. Quello che sto vivendo. Forse è per questo che mi ha coinvolto così tanto. L’ ho scritto con molta passione. Ci ho messo un anno e due mesi, facendo solo quello. So di scrittori che riescono ad interrompere la stesura di un romanzo o ad intervallare con altre attività. Io invece, scrivo solo. In questo caso poi, i personaggi mi coinvolgevano più del solito. Anche questa è una cosa che accade abbastanza miracolosamente!”

“Nel suo viaggiare per il mondo quali sono i paesi che più ha “vissuto” ed amato?”

“Sono diversi e molto vari tra loro. Il primo viaggio che è stato quasi un’emigrazione, ed ha lasciato tracce nel mio primo romanzo, “Treno di panna”, sono gli Stati Uniti. Per me erano come il centro di molte cose che, a vent’anni mi appassionavano: la musica blues e rock, il cinema, la letteratura. Amavo Scott Fitzgerald ed Hemingway.  Poi l’ Australia, dove “sentivo” i luoghi nel mio cuore. Le isole della Grecia.  Anche l’Italia: girando con un’amico musicista per piccoli teatri, ho conosciuto angoli di cui ignoravo l’esistenza.”

“Secondo lei c’è qualcuno che scriverà un grande romanzo sull’Italia?”

“A lungo ho creduto che il romanzo avesse un dovere sociale e morale di raccontare il mondo in cui, in quel momento, il romanziere vive. Mi è capitato, un paio di romanzi fa, di scriverne uno, “Mare delle verità”. Era un romanzo, a mio modo, politico, in cui raccontavo molto di Roma. Il fratello del protagonista era un politico di sinistra, ma neanche troppo, falso quanto basta… Bè, mi sono reso conto che ai miei lettori non interessava. Forse perchè la politica, occupando spazi che non sono di sua competenza, ha creato uno stato di saturazione, assuefazione.  Sono cose che è meglio far raccontare alla cronaca che in un romanzo.”

Loredana Filoni

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