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La verità sulla vivisezione. La LAV per sfatare tre miti sulla sperimentazione animale e chiedere al Governo il rispetto dell’art.13

Tutta la verità sulla vivisezione: metodo antiscientifico e mai validato, fuorviante, inutile e immorale. Questa mattina la LAV si è sottoposta alla “prova” della Bocca della Verità, nella storica sede di questo antico rudere romano, per sfatare tre falsi miti sulla sperimentazione animale, tema sul quale in queste settimane il Governo italiano dovrà emanare il Decreto Legislativo che cambierà formalmente la normativa nazionale.

“Tre miti da sfatare sulla vivisezione, per ristabilire la verità e motivare il nostro appello al Governo affinché rispetti l’art. 13 della Legge di Delegazione UE n.96 del 2013 che limita alcuni tipi di esperimenti su animali, rende obbligatorio l’utilizzo dell’anestesia e concreto il sostegno ai metodi sostitutivi di ricerca”, afferma la biologa della LAV Michela Kuan, responsabile LAV Vivisezione.

Ecco, dunque, i tre principali miti sulla sperimentazione, che la LAV intende sfatare:

1) “La vivisezione non esiste più, la sperimentazione animale è infatti un’altra cosa”.

Il termine sperimentazione è ugualmente corretto: un cane può essere ucciso lasciandolo morire di stenti anche senza operarlo, come nel caso del nuoto forzato dove, non trovando appiglio l’animale nuota per ore fino allo stremo delle forze. Purtroppo però la parola vivisezione è attuale, perché gli animali sono vivi (e spesso coscienti!) e sono sottoposti a interventi come stimolazioni elettriche profonde nel cervello, fratture, lesioni midollari, termo ablazioni, trapianti di organi… tutto senza anestesia! Tragicamente in Italia il numero delle procedure senza anestesia, quindi particolarmente dolorose, sono raddoppiate negli ultimi anni. Questa è vivisezione!

2) “Come ci si curerebbe senza la sperimentazione animale”?

I vivisettori spesso ripetono che, se non si sperimentasse sugli animali, bisognerebbe farlo sugli esseri umani: ma questo accade già! Infatti in tutto il mondo le leggi impongono la sperimentazione sull’uomo dopo i test su animali, prova indiscutibile che non possiamo fidarci dei dati ottenuti negli animali perché, se fossero realmente predittivi, si passerebbe direttamente dal modello animale alla commercializzazione.

Il 51% dei farmaci viene ritirato dopo il commercio per gravi reazioni avverse, centinaia di migliaia le persone morte ogni anno per effetti collaterali non diagnosticati su animali. I test su animali sono un paravento giuridico per continuare a mettere in commercio sostanze spesso inutili o dannose, perché per l’industria noi non siamo pazienti da curare, ma clienti a cui vendere prodotti.

Rispetto alla proposta di etichettare obbligatoriamente i farmaci con la dicitura “sperimentato su animali”, fatta impropriamente sua dall’AIFA-Agenzia Italiana del Farmaco – che si conferma così non ente terzo e indipendente – a questa didascalia andrebbe aggiunto “testato su umani, tra i quali bambini, volontari sani, persone del Sud del Mondo, involontari nelle corsie ospedaliere…“, e così via.

3) “Una coltura cellulare non può sostituire la complessità di un organismo”.

Assolutamente vero, ma se l’organismo è diverso il dato che otteniamo è scientificamente inutile! Cani, conigli, topi, etc., sono biologicamente diversi da noi e nessun ricercatore potrà mai affermare di sapere perfettamente cosa succede durante l’esperimento! Infatti dalla differenza genetica (e la loro espressione in proteine), a quella fisiologica, anatomica e fenotipica (nessuno di noi si confonderebbe tra un bambino e un ratto) l’indice di errore aumenta esponenzialmente, come dimostra l’alto indice di fallimento dei test su animali (superiore al 90%) e le gravi reazioni avverse ai farmaci non preventivamente diagnosticate su animali.

30 gennaio 2014

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