NELLA PRESTIGIOSA SEDE DI PALAZZO PITTI DI FIRENZE PROTAGONISTA ANTONIO LIGUBUE.

“RUGGITO. LA LOTTA PER LA VITA” CAPOLAVORI DI INTENSA FORZA ESPRESSIVA E DI PROROMPENTE ENERGIA CROMATICA.

Si terrà dal 30 ottobre al 16 gennaio 2011, a Firenze presso la Galleria d’arte moderna di Palazzo Pitti, la rassegna dedicata ad Antonio Ligabue dal titolo. Ruggito Antonio Ligabue: la lotta per la vita, una mostra incentrata sulla tematica degli animali, in particolare belve colte in scene di lotta e aggressioni – la Vedova nera, il Leopardo, Gatto selvatico con nibbio, Tigre assalita dal serpente – e numerosi autoritratti in cui Ligabue mostra il proprio volto in tutti gli aspetti del dolore fisico e psichico: circa 80 opere esposte, veri capolavori di intensa forza espressiva e di prorompente energia cromatica.

L’evento sarà promosso dalla Soprintendenza per il Patrimonio Storico Artistico ed Etnoantropologico e per il Polo Museale della Città di Firenze, dalla Galleria d’arte moderna di Palazzo Pitti in collaborazione con Firenze Musei con il riconoscimento dell’Alto Patronato del Presidente della Repubblica Italiana, Giorgio Napolitano, con il patrocinio di: Senato della Repubblica, Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Regione Toscana, Provincia e Comune di Firenze.

La mostra, a cura di Augusto Agosta Tota, presidente del Centro Studi & Archivio Antonio Ligabue di Parma a cui è affidata l’organizzazione della rassegna, sarà presentata in conferenza stampa venerdì 29 ottobre alle h. 12 dai critici Vittorio Sgarbi e Marzio Dall’Acqua, autori anche dei testi in catalogo assieme al critico parigino Pascal Bonafoux.

A vedere i film originali di Raffaele Andreassi o di Pier Paolo Ruggerini, che lo riprendono nelle golene e sulle rive del Po, si fa fatica a immaginare un Ligabue diverso da un animale strano, selvatico. Cappellaccio calato sulla testa in qualche modo, naso più aquilino di un’aquila, panni più simili a stracci, e giù urli e versi gettati in faccia ad uno specchio che, chissà, forse gli restituiva la sua vera natura libera e selvaggia: sicuramente gli restituiva le immagini delle sue belve viste nei libri e ai circhi e trascinate dalla sua fantasia nei boschi del Po. Così, prima ancora che i critici diversi anni dopo, è per primo lui che vede nella sua faccia la tigre, il lupo o il leone, e in questi la sua immagine di animale selvaggio, costretto a schivare gli umani per salvarsi.
E’ così anche ora, quando si guardano con un minimo di compassione gli autoritratti o le tele del suo bestiario: ecco perché la mostra di Firenze coglie uno degli aspetti più intimi e importanti dell’opera di Ligabue, e lo annuncia in modo straordinario con una sola parola,‘ruggito’: il suo ruggito, il ruggito dell’animale ritratto. Un lungo grido riportato da tela a tela e che sta a significare l’asprezza del mondo.

“Quando dipingeva animali feroci – dice uno dei suoi primi estimatori, il grande artista Marino Renato Mazzacurati – si identificava con loro a tal punto da assumerne gli atteggiamenti. Ruggiva spaventosamente, e imitava il leone, la tigre, il leopardo nell’atto di azzannare la preda. Sorprendente era la sua conoscenza della struttura anatomica degli animali, dei loro istinti, della loro forza”. A far da contrappunto i suoi autoritratti in cui accumula energia vitale, preleva dal fantastico che si affolla nella sua mente.

Ligabue con le belve e l’autoritratto riporta agli arcaici, preistorici significati del figurare: dipingere qualcosa significa possederla, in un certo senso, appropriarsene o almeno cercarne il possesso, evocare, esorcizzare, propiziare l’acquisizione. Ligabue sembra dipingere per possedere, lui che era privo di tutto. Anche l’autoritratto, vertice e rivelazione di un uomo che si presenta senza difese al dramma dell’esistenza, viene il sospetto possa essere stato così spesso dipinto per dimostrare di possedersi o per poter affermare di possedere, o almeno favorire, il dominio di sé che spesso gli sfuggiva. “Ligabue – dice il critico Luigi Cavallo – misura i propri connotati con ammirevole asprezza; non commenta pateticamente, accende tutta la propria umanità con lo stordimento del rifiutato e la caparbietà di chi ha preferito nascondersi alla vita piuttosto che sottostare al suo servizio”. Ecco perché per dipingere, e dipingersi, ha bisogno di urlare verso lo specchio, verso sé stesso: il quadro che ne deriva non fa pensare a una bella compitazione, a una “acconciatura ben ravviata” come dice Cavallo: è piuttosto uno scatenamento di suoni gutturali e taglienti, scomposti quel tanto come le bufere nevose che affrontava sulle rive invernali del Po o come, semplicemente, la sua stessa vita.

Di Ligabue si è detto tanto e tanto se ne dirà, come succede per tutti i grandi artisti che vengono interpretati e reinterpretati con i tempi e hanno sempre molto da dire. Ma questa di Firenze si pone come la mostra della maturità (dei critici, ovviamente), come un’importante tappa di avvicinamento alla scoperta della sua umanità e bestialità, insomma della sua vera natura di animale ferito che ci guarda con gli occhi dei suoi autoritratti e con gli occhi spiritati, e insieme spaventati, dei suoi animali. Alla fine, guardare quegli occhi è un po’ come guardarsi dentro.

catalogo: Augusto Agosta Tota editore, Parma

curatori: Augusto Agosta Tota

note: Enti promotori Soprintendenza Speciale per il Patrimonio Storico, Artistico ed Etnoantropologico e per il Polo Museale della città di Firenze Galleria d’arte moderna di Palazzo Pitti in collaborazione con Firenze Musei organizzazione Centro Studi & Archivio Antonio Ligabue

PALAZZO PITTI – PIAZZA DEI PITTI

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